Tanti anni fa, un uomo di legno fu trovato sulla riva di Påskallavik, un paese sul mar Baltico. La scoperta di questo uomo bizzarro, le gambe troppo lunghe, una giacca rossa e un cappello a cilindro, suscitò molta curiosità tra la gente e tante furono le teorie sulle sue origini. Quando ero piccola, “Röde Gubben” (l’uomo rosso) che è diventato il suo nome ufficiale, era da tempo diventato il simbolo del paese e in suo onore fu fondata un’associazione che doveva servire al bene della cittadinanza. Alcuni anni fa feci un serie di acquarelli ispirati dall’uomo di legno e in quella occasione mi venne in mente di scrivere una storia; la mia versione della vita dell’ uomo di legno, della quale questa è la parte finale. La notte di Valpurga (30 aprile) mi sembrava una bella cornice della storia, anche perchè la tradizione vuole che sia festeggiata nel boschetto, a due soli passi dalla roccia di Röde Gubben.
Anno dopo anno è stato lì con lo sguardo fisso verso il bosco. In autunno, quando gli alberi perdevano le foglie, riusciva a malapena vedere i tetti delle case e qualche asta di bandiera; e poi solo pini e cespi di mirtilli. Comunque sapeva che il vento che gli soffiava sulla schiena veniva dal mare, quell’enigmatica meraviglia era lì, soltanto a due passi dalla sua roccia. Cercava di immaginarsi il mare, che aspetto poteva avere, di che colore poteva essere. Certe volte lo sentiva come se fosse smisurato e pericoloso, era in quei momenti che l’odore era più buono. Altre volte lo sentiva come se non ci fosse, gli pareva di essere circondato dal solo bosco. Questo non gli piaceva, il pensiero che il mare non ci fosse, lì dietro di sé, lo spaventava. Ma per la maggior parte del tempo poteva sentire la sua presenza se solo si concentrava un po’. Il mare aveva un suono anche quando tutto era silenzio. Una specie di fruscio, ma non come il rumore leggero dei pini e degli altri alberi. Era un brusio che pareva acchiappare le sue fibre più intime; un quieto frastuono che gli entrava nel legno sotto il cappotto e che lo faceva bramare e desiderare. Nel suo profondo, nel cuore dei suoi anelli, sentiva che lui e il mare in qualche modo si conoscevano. Che c’era un legame tra sé e quell’enormità alle sue spalle. Così una sera di primavera decise: doveva vedere il mare. Era così dannatamente stanco di stare lì e non sapere niente, solo supposizioni e ipotesi, niente di chiaro e sicuro. C’era una particolare sera dell’anno, quando il bosco si riempiva di persone che passavano oltre in gran numero ridendo e schiamazzando. Però ciò che era interessante si trovava sempre alle sue spalle. La gente rideva e strillava e dopo un po’ cominciava a sentire un improvviso calore, innaturale per la stagione, mentre luci e ombre giocavano sopra i pini. Il bosco odorava di fumo e un crepitio sovrastava il mormorio del suo mare. La gente sembrava allegra, chi più chi meno. Le persone cantavano, correvano attorno ed erano chiassose; ma, siccome succedeva soltanto una volta l’anno, l’uomo di legno era tollerante e negli ultimi tempi aveva perfino sviluppato un “quasi entusiasmo” per lo spettacolo. La chiamavano “La Notte di Valpurga”. Quest’anno la notte di Valpurga però non era come le altre. Forse dipendeva dal mare. Ne sentiva l’odore più del solito, mentre gli alberi si piegavano sotto un forte vento. La gente non arrivava e lui cominciò a sospettare che l’avvenimento fosse stato spostato in un’altra sera più tranquilla. Per un attimo stette lì, aspirando il forte odore del mare; si sentì quasi libero. Una sensazione di libertà così forte che senza pensare alzò un piede. Con grande stupore scoprì che i pezzi di ferro, che lo avevano sempre tenuto ancorato alla roccia, cedevano senza fare resistenza. Si girò lentamente barcollando sulle gambe verniciate di nero. Desiderava poter chiudere gli occhi in modo che il momento durasse a lungo, ma quando il suo sguardo incontrò il mare, non desiderò più niente. Il mare era più grande e più chiaro di quanto aveva immaginato. Era indescrivibilmente bello e si muoveva un po’ come i pini sferzati dal vento, però era diverso. “Il mare” pensava. “Sì, questo è il mare”. L’uomo di legno cominciò con prudenza a muoversi. Il suo cammino procedeva a scatti come se andasse sui trampoli, ma piano piano stava imparando come fare per non cadere. Con cautela mise un piede sulla strada sterrata che portava alla riva; gli scogli color ruggine, di granito liscio, erano battuti dalle onde con frequenza costante. Stava lì fermo sulla stradina davanti al mare e respirava. La schiuma del mare rimbalzò sugli scogli e gli schizzò in faccia. Sorrise. Alzò la testa su verso la roccia, vide una cosa che non riuscì a distinguere. Sembrava una persona che fissava il bosco proprio come aveva fatto lui fino a poco prima. A giudicare dalla forma del corpo e dalla sottana era una donna. Sì, era definitivamente una donna che si teneva il cappello nel forte vento. Immobile come un masso di pietra si ergeva dalla roccia e non sembrava sentire né il vento né il mare. “Forse è come me” pensò, e decise di raggiungerla per vedere com’era di fronte. Una ripida scala di pietra portava su. Con grande fatica riuscì a salire gli scalini con le gambe lunghe e rigide. Quando arrivò all’ultimo scalino, scoprì che anche lei era prigioniera della roccia, e soltanto a due passi da lui. “Qui siamo stati entrambi, anno dopo anno, senza sapere niente l’uno dell’altra” pensava. A un tratto sentì che il bosco gli stava stretto e che le sue gambe iniziavano ad acquistare forza e indipendenza. Guardò gli occhi scolpiti della donna di pietra e vide il mare che si alzava e si abbassava dietro di lei. Allora successe: la donna di pietra lasciò la presa del cappello, la sua faccia si ammorbidì e un accenno di un sorriso passò sul suo viso. Stese il pugno chiuso verso di lui, che prese quello che gli dava. Un piccolo, fumigante falò della notte di Valpurga crepitò nella sua goffa mano. Il calore si diffuse dentro il suo vecchio corpo; si sentì malinconico e felice. Pensò: “Ah sì, è questo l’aspetto che ha”, mentre il mare sospirava e il falò lasciava una trasparente scia di fumo, che serpeggiava verso l’alto unendosi con il buio.